La Pinacoteca

Pinacoteca Civica e Diocesana

La collezione d’arte è collocata nelle sale del Palazzo dei Canonici. Le opere esposte comprendono alcuni magnifici esempi di oreficeria gotica e barocca, una interessante sezione di scultura lignea medievale e rinascimentale e dipinti che vanno dalla fine del XIII secolo al Settecento con alcune presenze eccellenti: un trittico del Maestro dell’Assunta di Amelia, un dittico di Cola Petruccioli, alcuni pannelli di cantoria eseguiti da Zaccaria di Filippo Mazzola, fratello del più celebre pittore manierista Parmigianino, ed uno splendido affresco eseguito da Andrea d’Assisi detto Ingegno.

Tra le opere esposte una menzione particolare merita la Madonna col Bambino di inizio sec. XVI attribuita a Bernardino di Betto detto il Pinturicchio (1454-1513) proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Maggiore in Spello. L’opera fu trafugata nel 1970 ed è tornata a Spello il 21 novembre 2004, dopo 34 anni dal furto: si trattava di una tavola dipinta a tempera che raffigurava una Madonna in trono con il Bambino che in origine costituiva il comparto centrale del trittico del Maestro di Assunta di Amelia, le cui parti sono state quindi ricomposte in modo completo dopo l’ultimo tassello ritrovato nell’ottobre del 200.

Orari

Venerdì, sabato e domenica
Mattina: 10:30 -13:30
Pomeriggio 15:30-17:30

Per informazioni:
Tel. 0742 450645
info@villadeimosaicidispello.it
info@vivispello.it
booking@vivispello.it

 

Informazioni

Pinacoteca Civica
Cortile dei Due Campanili, Piazza G. Matteotti, 10 – Spello (PG)

Storia

L’apertura di questa esposizione è il frutto degli intenti e delle volontà dell’Associazione Pinacoteca Civica di Spello, costituita dal Comune, dalla Diocesi e dalla Parrocchia di Santa Maria Maggiore. In attesa della riapertura del Museo cittadino oggi chiuso per gli imminenti lavori derivanti dagli eventi sismici del 1997, si è optato per una soluzione temporanea che permettesse la visita alle opere d’arte, in ambienti ricavati all’interno del complesso del Palazzo dei Canonici su  piazza Matteotti

L’esposizione nelle “Sale Medioevali” è pertanto una raccolta selezionata delle principali opere della collezione del Museo Civico-Diocesano; si tratta di una sorta di deposito visitabile dove oggettivi vincoli tecnici e dimensionali hanno determinato i criteri adottati per l’allestimento.

In accordo con la Soprintendenza e la Regione dell’Umbria si è optato per un percorso caratterizzato dal raggruppamento tipologico, pur cercando di rispettare l’impianto cronologico pianificato dai curatori scientifici per l’esposizione originale (1994).

Il principio guida dell’allestimento museografico è stato quello di ricercare il dialogo con il contesto architettonico (fortemente caratterizzato), in cui si andava ad operare, evitando di inserire elementi di arredo che avrebbero potuto interferire con la percezione del genius loci. Rispettando il progetto iniziale elaborato dalla PRO.REST. di Spoleto e valutate alcune componenti tecniche, si sono utilizzati gli espositori già presenti nel Museo.

Nell’intento dunque di raccontare la storia della città attraverso le sue preziose testimonianze, il percorso museologico ha inizio con la sala degli affreschi collocati sulla viva pietra proprio nell’intento di restituire loro il primordiale situ; una scelta fatta per favorire l’impatto e la percezione complessiva delle immagini ed il loro spessore umano e devozionale. La sala delle sculture (prevalentemente lignee) ospita anche opere pregiatissime di oreficeria e pittura su tavola.

Nella terza sala sono state concentrate una serie di opere frammiste in generi e tipologie; qui si respira il profumo della storia locale e dei suoi “prodotti artistici”; eccettuata l’incursione della tavola dell’Alunno,  tutto il resto segue il filone tematico che ritrova la sua ragion d’essere nel culto cittadino per la  figura di San Felice Vescovo, è presente nelle tele del Grecchi come nel Reliquiario del Salvini; è stato posto in risalto il santo Patrono della città, emblema simbolico e spirituale della devozione spellana. Dopo la sala delle tele tra XVII e XX secolo si entra nel “salotto buono” di Spello con le testimonianze artistiche del primo sindaco socialista del novecento, il pittore Benvenuto Crispoldi.

Testi: Giulio Proietti Bocchini – Marina Sozi
Bibliografia: Catalogo della Pinacoteca Comunale di Spello – a cura di Alessandro Marabottini Marabotti, Electa 1995.
Realizzazione grafica: Claudio Petrucci

Sala affreschi

La prima sala contiene affreschi staccati provenienti da chiese dislocate nel territorio comunale.
Apre l’esposizione l’affresco raffigurante la Madonna in trono con Bambino [n°1] – (fine XIII – inizio XIV secolo); si tratta in realtà di una piccola porzione probabilmente asportata dalla parete di controfacciata della chiesa di Santa Maria Maggiore durante i lavori di ampliamento del 1644. I tratti del volto della Madonna (occhi di taglio orientale e piccola bocca, realizzati con linee marcate e rozze), la bidimensionalità di ascendenza bizantina e la semplice risoluzione della composizione riferiscono la paternità dell’opera ad un pittore locale di scuola spoletina del tutto alieno dalle novità del cantiere di Assisi.

Segue una serie di dipinti [dal n°2 al n°9] che coprono un ampio periodo temporale (XIV – XVI secolo) e che costituivano parte della decorazione murale del santuario campestre di Santa Maria in Paterno. Il tema ricorrente è quello della Madonna con Bambino; in questo caso tale raffigurazione è inserita in un contesto più ampio – quello della pittura votiva – dove le due figure vengono di volta in volta associate ai santi invocati a seconda della grazia che spingeva il devoto a commissionare l’opera.

Tali pitture sono attribuite a maestranze umbre legate alla tradizione figurativa locale che per quanto riguarda le decorazioni traeva ispirazione, dalla quotidianità, dalla vita contadina e popolare. Stilisticamente le opere dimostrano una profonda aderenza ai dettami della scuola folignate e spoletina che solo in alcuni casi ha subito contaminazioni da parte della pittura ufficiale dei grandi cantieri (Assisi, Firenze, Roma).

Chiude la sala degli affreschi la Madonna con Bambino tra San Girolamo e San Bernardino [n°10], una delle opere più belle e pregiate della civica collezione, probabilmente eseguita nel 1503 da Andrea d’Assisi (detto “l’Ingegno”), raffinato allievo del Pinturicchio non estraneo al “moderno” linguaggio peruginesco. Una presenza, questa dell’Ingegno, che colloca Spello non più nel sistema spoletino ma in quello perugino della «cripto signoria» dei Baglioni, detentrice del vicariato pontificio del piccolo feudo fino al 1583.

Sala Sculture

La seconda sala raccoglie i pezzi più delicati e preziosi della collezione, deviando dal generale principio di successione cronologica per rispondere ad esigenze conservative e criteri di sicurezza. In questo ambiente trova posto infatti, accanto ad alcuni dipinti su tavola, la quasi totalità delle opere scultoree lignee, lapidee e di oreficeria, per un arco di tempo che si estende dall’XII al XVI secolo. La loro sistemazione all’interno della sala risponde al principio di favorire la maggiore fruibilità, leggibilità e valorizzazione delle sculture qui sistemate in ragione del dialogo reciproco e del rapporto con il contenitore architettonico.

Una delle opere più importanti e problematiche della collezione, nonché la più antica in assoluto, è la Madonna in trono con Bambino [n°12], scultura in legno policromo databile tra l’ultimo quarto del XII e gli inizi del XIII secolo. Di notevole interesse devozionale, il gruppo scultoreo unisce il particolare poco comune del Bambino semi-alzato, colto quasi nell’atto di scivolare dalle ginocchia materne, con due diverse iconografie invece molto usate: quella della Madonna Nicopoia, nata intorno al V secolo in area bizantina, e quella della Madonna Sedes Sapientiae, diffusissima nell’Alvernia del XII secolo.

Oggetto di numerosi ed approfonditi studi, l’opera costituisce (insieme all’affresco n°1 al quale può essere accostata per assonanze linguistiche) una delle prime testimonianze a Spello di scultura derivante dal sistema artistico spoletino, di cui adotta il linguaggio figurativo. Numerosi elementi stilistici denunciano infatti caratteri comuni a molti manufatti di marca spoletina rintracciabili in diverse zone del centro Italia. Tali componenti, che rivelano influenze bizantine, romaniche, provenzali e borgognone e persino della plastica etrusca e romana provinciale, sono particolarmente evidenti in una serie di sculture coeve per le quali si ipotizza che l’esemplare di Spello abbia costituito il prototipo, essendo probabilmente il più antico.

L’uso di tratti lineari, la combinazione di colori vivaci e chiari – qui presenti in piccole porzioni purtroppo nascoste sotto una ridipintura quattrocentesca – la semplificazione anatomica, la fissità delle espressioni e la rigidezza dei gesti, uniti ad una ritmica ed una mimica elementari, non attenuano il forte impatto dell’opera, donandole piuttosto un sapore arcaico di grande efficacia.
Il Cristo ligneo [n°13] databile tra il primo ed il secondo decennio del XIV secolo appartiene invece alla tipologia delle sculture trasformabili. La statua, probabilmente di proprietà di una confraternita di cui si è persa traccia, era usata nelle cerimonie liturgiche della settimana santa sia in qualità di Crocifisso che di Deposto; le braccia erano perciò montate sul busto mediante cerniere che ne permettessero lo spostamento, ottenendo così le due diverse configurazioni attraverso una semplice rotazione degli arti. Eseguita con notevole perizia – gli assemblaggi delle parti sono il capolavoro di un raffinato carpentiere – la scultura presenta caratteri arcaicizzanti come l’acconciatura a calotta, tipica della scultura romanica, misti ad elementi che denotano un “moderno” gusto gotico, quali la resa realistica del volto e del corpo ed il panneggio naturalistico del perizoma; elementi, questi, che riconducono ancora una volta al linguaggio figurativo tipico dell’ambito spoletino.

La nuova congiuntura rappresentata dal passaggio della città dall’orbita spoletina a quella perugina è testimoniato nell’esposizione da due opere di notevole pregio, realizzate a distanza di pochi anni ed ambedue provenienti dalla chiesa di Santa Maria Maggiore: si tratta del Dittico [n°18] di Cola Petruccioli – artista orvietano di spicco, che anticipa la cultura cortese di matrice tardogotica e fiamminga – per cui è stata avanzata un’ipotesi di datazione al 1391; e della Croce capitolare [n°17] di Paolo Vanni, datata 1398, in argento dorato, sbalzato e cesellato con smalti traslucidi e con elementi in rame dorato.

Accomunate, oltre che da tangenze stilistiche, dal tema iconografico – in ambedue sono presenti infatti i santi Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Nicola di Bari, oltre alla Maddalena e alla Vergine, a cui sembra fossero dedicati altrettanti altari all’interno della chiesa prima che i lavori seicenteschi di ristrutturazione ne cancellassero le tracce – le due opere sono accostabili per assonanze stilistiche ascrivibili al gotico internazionale e raffinatezza di esecuzione. La croce astile rientra inoltre in quella particolare vicenda locale nota come contesa delle collegiate, una competizione perpetuatasi nei secoli tra le chiese di Santa Maria Maggiore e San Lorenzo, volta ad ottenere il primato cittadino attraverso la commissione di oggetti artistici di pregio.

Nella sala figurano inoltre una scultura in legno policromo del XV secolo raffigurante il San Giacomo Maggiore [n°16] e numerose opere databili al XVI secolo, tra cui un San Giuseppe di Arimatea [n°15]. Tra queste ultime spiccano la Pietà [n°11] in pietra policroma che rientra nella tipologia di derivazione franco-renana denominata Vesperbild, molto diffusa nell’Italia centrale grazie agli ordini mendicanti, ed una scultura lignea raffigurante la Madonna della Spella [n°14], oggetto di grande venerazione popolare e raro esempio spellano di arte manierista. L’elegante e vivace composizione, solida ma non pesante, si distingue per la qualità dell’intaglio, la raffinata sensibilità cromatica e l’efficace resa plastica del panneggio, che la accostano alle opere del Papacello e di Dono Doni.
Databili intorno al primo quarto del XVI secolo sono infine le due tavole raffiguranti Cristo benedicente [n°19] e gli Apostoli Matteo e Filippo [n°20], recentemente attribuite a Zaccaria di Filippo Mazzola (fratello maggiore del Parmigianino); la serie, che per motivi di spazio non si è potuta esporre per intero, conta tre tavolette singole e quattro doppie, uniche parti superstiti della cantoria cinquecentesca dell’organo di Santa Maria Maggiore, e ricalca, seppure con notevoli varianti, una serie di incisioni con Cristo e gli apostoli realizzate da Marco Dente tra il 1515 e il 1516 su disegni di Raffaello.

Sala Grecchi

Con la terza sala siamo giunti ormai nell’ambito della pittura riformata, eccezion fatta per la tavola di apertura, qui sistemata per motivi di spazio e doveroso omaggio ad una personalità di spicco della cultura artistica folignate quattrocentesca.
Il dipinto in questione, Cristo crocifisso tra la Vergine e i santi Francesco, Giovanni Evangelista e Crispolto Vescovo [n°22], proveniente dal monastero di Santa Maria di Vallegloria, è tradizionalmente attribuito a Nicolò di Liberatore detto “l’Alunno”, anche se gli ultimi studi, riconoscendovi due mani, tendono ad indicarlo come prodotto della cosiddetta “Bottega Mazzaforte” all’interno della quale egli operava a fianco di Pietro di Mazzaforte. La critica sembra comunque, al di là delle attribuzioni, propendere per una datazione piuttosto alta della tempera, collocandola prima del 1457, ovvero riconoscendola come una delle prime prove della generazione folignate successiva al “dominio” di Bartolomeo di Tommaso, manifestazione della ricerca di un nuovo codice stilistico che sfocerà in un linguaggio espressivo dalla drammaticità cupa e concentrata.

Con le cinque opere di Marcantonio Grecchi, pittore senese attivo per circa mezzo secolo nella città di Spello (dove visse per trent’anni, fino a trovarvi la morte), ci si tuffa quindi nel clima post-tridentino che interesserà la città a partire dalla fine del cinquecento e che comporterà una serie di lavori di ristrutturazione delle chiese cittadine al fine di adeguarle ai nuovi dettami religiosi ed al termine dei quali la fisionomia del paese risulterà notevolmente cambiata.

La Madonna con Bambino e i santi Maddalena, Francesco, Girolamo e Raimondo (1603) [n°23], pur risentendo nell’impostazione di modelli raffaelleschi, risulta essere influenzata dalla pittura di epoca precedente nelle fisionomie dei volti e nelle pose di alcuni personaggi, arrivando ad una lettura del tardo manierismo in chiave devota ed arcaicizzante, riscontrabile anche nell’uso del colore. Di notevole interesse storico è la tela raffigurante la Madonna con il Bambino, San Felice vescovo e il Beato Andrea Caccioli [n°26], il cui carattere risulta essere perfettamente in linea con i dettami della cultura controriformista nell’atteggiamento devoto dei personaggi, nel ruolo di mediatore svolto dai due santi presso la Vergine cui si chiede protezione per conto della città e nel cromatismo vivace.

Ma il motivo di maggior interesse è qui rappresentato dal plastico di Spello, specchio fedele della situazione urbanistica agli inizi del seicento che ci permette di risalire alla morfologia dell’agglomerato urbano prima di alcuni dei più importanti lavori di trasformazione architettonica della città, come ad esempio l’avanzamento della facciata di Santa Maria Maggiore. Il dipinto testimonia inoltre, unitamente alla tela raffigurante San Felice, due angeli e veduta di Spello [n°28] – opera tra le più riuscite dell’artista senese soprattutto per gli effetti cangianti della veste del santo – la “campagna pubblicitaria” svolta all’inizio del seicento in favore di San Felice quale nuovo patrono della città in sostituzione della triade medievale (San Severino, San Lorenzo e San Rufino); campagna che alla fine avrà ragione sui santi caldeggiati dalla fazione contrapposta (San Ventura Spellucci e il Beato Andrea Caccioli). Tale vittoria è testimoniata all’interno della stessa sala dall’ Urna di San Felice [n°29], reliquiario in argento, bronzo dorato e lapislazzuli, realizzato con grande maestria dall’artista folignate Girolamo Salvini nel 1788 e qui collocato proprio per l’attinenza del tema iconografico con l’opera del Grecchi.

Completano la sala due coppie di angeli reggicandela [n°21 e n°25] in legno dorato e dipinto, opere di artigianato umbro del XVII secolo forse provenienti dalla chiesa della Madonna di Vico.

Sala delle Tele

La quarta sala raccoglie opere di diversi periodi e derivazioni stilistiche contenute tra il XVII e XX secolo. Nello spirito generale dell’allestimento e della pianificazione scientifica, questo ambiente si presenta al visitatore come una vera e propria raccolta “privata” e dal vago gusto eccentrico.

Le prime opere: San Pietro e San Paolo [n°30 e n°31] attribuite a Pier Francesco da Mola (1612-1666), catturano l’attenzione per la luminosa ricchezza dei colori abilmente incastonati in un intenso tessuto chiaroscurale.

Il San Berrnardino e Sant’Antonio di Padova [n°32 e n°33] di Andrea Camassei (1602-1649), hanno una forte somiglianza con un’opera similare realizzata per la chiesa di Santa Caterina di Rapecchiano presso Spello. Le due tele erano collocate all’interno dell’altare di San Gaetano in Santa Maria Maggiore. Non esistono fonti certe per la loro datazione ma si possono assegnare ad un momento iniziale riferibile alla prima metà del XVII secolo.

L’Ecce Homo [n°34] proveniente dalla chiesa di San Girolamo di Spello è stato recentemente collocato nell’esposizione, ed è oggetto di studio insieme all’Annunciazione [n°35] proveniente da Santa Maria Maggiore; sono senza dubbio opere relativamente recenti ed ascrivibili alla produzione di pittori locali. I quattro santi protettori della città di Spello: San Ventura, San Felice, Beato Andrea Caccioli e San Rufino [nn°38-39-40-41]sono una recente acquisizione del C.C.Cassa Rurale ed Artigiana di Spello e Bettona che ha acconsentito per la loro esposizione all’interno di questa mostra. Sono stati acquistati presso un locale antiquario; si sa che facevano parte di uno stendardo processionale eseguito con molta probabilità nel XVII secolo, sono in corso ricerche e studi in merito per stabilire la loro provenienza ed una collocazione stilistica.

La Comunione di Santa Lucia [n°37] di Camillo Bagazzotti (1536-1601) si trovava nell’omonima cappella all’interno della chiesa di Santa Maria Maggiore; la si attribuisce al pittore camerinese scolaro o imitatore di Sebastiano del Piombo. “E’ probabile che nel personaggio barbuto in primo piano, che si volge verso lo spettatore, vada identificato quel Francesco Petrocchi committente del dipinto menzionato nell’iscrizione dedicatoria” (C.Galassi,1995).

La tela settecentesca a fianco raffigura la Madonna della Misericordia [n°36], opera modesta di pittore umbro degli inizi del XVIII secolo; è ancora una volta riproposto il tema della Madonna soccorritrice e protettrice che ci riconduce alla vita delle confraternite religiose locali.

Sala Benvenuto Crispoldi

Concludono il percorso le opere di Benvenuto Crispoldi (pittore spellano attivo tra il 1886 ed il 1923); sono di proprietà comunale e pervenute all’amministrazione locale per lascito testamentario da parte dell’autore, primo Sindaco socialista della città, dal 1915 al 1919.
Questa saletta rappresenta l’omaggio che i curatori dell’esposizione hanno voluto fare all’artista spellano che tanto ha caratterizzato la pittura locale tra la fine dell’ottocento ed il primo ventennio del XX secolo.

Dopo un susseguirsi di opere di alto livello sacro, devozionale ed artistico ci si introduce in questo ambiente dai forti connotati architettonici tipicamente locali dove si vuol riconoscere al Crispoldi il giusto protagonismo proprio come in una quadreria non più domestica ma cittadina, una sorta di salotto spellano dove il visitatore possa trarre non solo il gusto e l’abilità dell’artista, ma anche lo spirito e le emozioni del politico e dell’uomo colto a cavallo tra i due secoli. Un’arte non senza contaminazioni ricercate nell’impressionismo francese, nel simbolismo storico e soprattutto nel divisionismo italiano.
Sono dipinti che raccontano il tentativo di inserirsi nella cosiddetta pittura ufficiale (Simbolismo storico [n°54], Paesaggio con donne [n°49], Viso di donna del 1918 [n°50], Viso di donna 1919 [n°51] ), ma costituiscono senza dubbio la testimonianza più certa della storia popolare della quotidianità spellana come la Processione [n°56] – (1915?), chiaro riferimento alla festività del Corpus Domini durante la quale era ed è usanza realizzare i magnifici tappeti floreali nel percorso delle vie cittadine.

Va segnalata inoltre L’Idea [n°55] – (databile tra il 1918 e il 1920), opera che tra l’altro mantiene ancora intatta la cornice originale realizzata dallo stesso Crispoldi. Marabottini vi identifica una forte derivazione tardosecessionista e liberty riconoscendoci un interesse di gusto definibile “à la page” con una certa cultura figurativa di inizi Novecento.

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