Torri di Properzio e Porta Venere
Torri di Properzio e Porta Venere
Porta Venere venne eretta in età augustea ed inserita in un notevole numero di edifici. È stata studiata e disegnata, per primo, dall’architetto bolognese Sebastiano Serlio nel 1540 e, nel secolo XVII, da storici locali che la misero in stretta relazione con i resti di un tempio dedicato a Venere, scoperti presso la villa Fidelia, fuori la cerchia delle mura urbane di Spello: il nome, infatti, deriva dalla strada “Trionfale” (come testimonierebbe un’iscrizione trovata a Bevagna nel 1589) sovrastata dalla porta e che collegava questo tempio con l’interno della città.
Le due torri che affiancano la porta e che un’antica tradizione ha legato al nome del poeta latino, in genere sono state ritenute di epoca medievale. È altresì leggendaria l’identificazione della torre a monte della porta con il luogo della prigione di Orlando.
Il complesso porta-torri è stato fatto oggetto, in questo secolo, di almeno due restauri: negli anni dieci – venti, quando vennero abbattuti molti edifici di età medievale, ed ancora negli anni 1940-1941. Porta Venere è conchiusa ai lati da due Torri dette di “Properzio” a pianta dodecagonale. Eccezion fatta per le torri che s’impongono per lo spazio volumetrico che occupano, ciò che nobilita il complesso è sicuramente la porta urbica dedicata a Venere: realizzata in travertino bianco essa testimonia un glorioso passato spellano che segnò l’inizio della Splendidissima Colonia Julia.
Realizzata tipologicamente a tre fornici è ornata da lesene di ordine dorico, interposte fra un arco e l’altro. Nella parte superiore corre una trabeazione per tutta la lunghezza della porta, motivo unificatore nel segno di una armonia compositiva.
È fornita anche di un cavaedium, edificio di fortificazione che prevede una doppia porta. Tutta l’area su cui oggi insiste il complesso era un tempo ricca di altre edificazioni i cui resti sono oggi visibili nelle cantine delle abitazioni che si snodano su tutta via Torri di Properzio (si segnala anche la presenza di un criptoportico).
Torre Santa Margherita
La torre
La Torre Santa Margherita, posta fuori la cerchia delle mura urbane e sotto il parapetto di Piazza Belvedere, è quanto resta del monastero femminile dei santi Giacomo e Margherita dell’ordine benedettino, citato nei documenti per la prima volta nel 1263, quando Urbano IV lo accolse sotto la propria protezione, nonostante il disappunto delle vicine Clarisse di Vallegloria.
Dopo il 1291 il monastero, che rimase sempre di modeste dimensioni, si chiamerà anche di Vallingegno; nel 1325 vi si concentreranno le monache agostiniane di S. Maria del Paradiso, fino ad allora residenti sul monte Subasio, e nel 1464, infine, tutte le monache che lo occupavano si uniranno con quelle del monastero di S. Chiara, all’interno della città. Si presuppone che il degrado e la progressiva distruzione dell’antico edificio medievale possa essere iniziata dopo tale data. In questi ultimi anni la torre è stata, però, restaurata.
La torre è di epoca medioevale e prende il nome dall’ex monastero ad essa adiacente del quale rimangono resti del muro di cinta. A pianta quadrangolare è realizzata in pietra del Subasio e termina con merlature in aggetto.
Fondazione SINISCA
La Torre Santa Margherita diventerà un “Monumento messaggero di pace”. La commissione italiana per l’Unesco ha infatti accolto la richiesta di includere questa struttura, che da anni ospita la collezione d’arte della “Fondazione Sinisca”, tra quelle realtà artistiche o naturali che per la ricchezza dei valori di cui sono testimonianza, possono costruire una cultura di pace. Ed il merito va allo stesso maestro Domenico Sinisca in quanto da anni si sta impegnando ad intrecciare rapporti di comunicazione e di pace con numerosi paesi del mondo.
Questo si è manifestato sia nella sua eclettica attività artistica, tramite la pittura, la grafica, la scultura, la fotografia, la scenografia ed la musica, ma soprattutto nel suo impegno ad organizzare manifestazioni in Italia e all’estero mirate a promuovere la cultura della pace. Sinisca è stato l’unico artista vivente a poter esporre alle Nazioni Unite a New York nel 1982 organizzando contemporaneamente a Roma in via Margutta una mostra di bambini italiani il cui ricavato è andato a beneficio dell’Unicef. Ha inoltre realizzato due grandi mostre visibili dai delegati al Dininig room nel Palazzo di Vetro e successivamente all’ingresso della Hall delle United Nations, il tutto con la partecipazione dell’Istituto italiano di cultura di New York e dell’ambasciata di Italia all’Onu.
Tutte le sue esposizione si sono basate sulla conoscenza e l’informazione dell’Italia creando contemporaneamente dei contatti di pace e di informazione con altri Stati. Sinisca ha poi partecipato a numerose esposizioni per beneficenza fra cui l’ultima “Sangue. Dimenticare è facile, basta non ricordare” organizzata dall’Unicef con la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica.
“Abbiamo accolto la richiesta di includere la Torre Santa Margherita come un monumento messaggero di pace – si legge nella comunicazione ufficiale – in considerazione della forza del messaggio che questo monumento potrà offrire la suo territorio, ai cittadini tutti ed in particolare ai giovani.
Arco romano
Il monumento
L’Arco, anticamente, permetteva la comunicazione della parte alta della città con il monte Subasio. È noto anche come Porta dell’Arce e Porta dei Cappuccini, per la vicinanza, rispettivamente, con i resti della rocca di Federico I Barbarossa e con il convento dei Cappuccini di S. Severino.
Probabilmente risale al periodo preaugusteo, ad un solo fornice e con fenditura mediana per la cateratta è giunta fino a noi parzialmente interrata, la soglia infatti si trova circa 1m sotto il livello stradale. Posta nel punto più alto della cittadina, veniva chiusa a saracinesca; ubicata nel tratto occidentale delle mura era il punto di passaggio per la comunicazione verso il Subasio.
Anfiteatro romano
La struttura
Venne realizzato, probabilmente, nel I secolo d.C. (tale datazione si è desunta da una iscrizione di marmo bianco ritrovata nel corso di alcuni sondaggi, dove sembrerebbe essere indicato il probabile committente dell’opera) su un’area interessata in antico da numerosi edifici sacri, posti lungo la strada che collegava la vicina Flaminia con i centri interni di Asisium, Arna e Perusia, e che ancora fino al secolo XVIII ospitava pellegrinaggi ed importanti raduni fieristici. Nel secolo XVI, fino al Concilio di Trento, l’area prospiciente le ancora poderose rovine dell’anfiteatro romano era uno dei tre luoghi del territorio comunale in cui i Baglioni, signori della città, permettevano i combattimenti a duello.
Si ha notizia, tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX, di lavori di sterro dell’anfiteatro, fatti sia per rimettere in luce l’antica struttura che per recuperare materiale da destinare a massicciate stradali.
L’anfiteatro è tornato ad essere oggetto di scavo archeologico negli anni 1957-1958 e, fino a qualche anno fa, ha occasionalmente ospitato manifestazioni e festeggiamenti. È ora in mano alla Soprintendenza Archeologica dell’Umbria che ne ha vietata la visita e vincolato qualsiasi utilizzo. È uno dei capolavori presenti a Spello, testimone del periodo glorioso della Colonia Julia. Oggi rimane una perla sepolta che nonostante lo stato di momentaneo abbandono, conserva ancora intatto il suo aspetto nella sola e visibile forma ellittica.
Rispetto all’accesso da via Centrale Umbra, sulla destra sono riemersi dagli ultimi scavi, dei grossi blocchi di bugnato che sostenevano parte del podium, resti della conformicatio (corsia o corridoio), ed alcuni ambienti pertinenti ai servizi dell’arena (verso il lato orientale è stato portato in luce un buon tratto dell’ambulacro). Esternamente all’anfiteatro correva una lunga corsia di maestosi pilastri con colonne semicircolari a righe bianche e rosa, i cui resti sono stati portati alla luce nel lato occidentale. Ancora visibili sono gli accenni di gradinate e tratti dell’originale pavimentazione, inoltre non sono pochi i resti di tratti di muro realizzato prevalentemente in opus vittatum (ricorsi di blocchetti quadrangolari sulla facciavista con nucleo interno in malta a calcestruzzo).
L’intera struttura in origine era di notevoli dimensioni: l’altezza di 16 m circa con due ordini di gradinate, l’asse maggiore dell’ellisse di 59.20 m, quello minore di 35.52 m.
L’anfiteatro dell’antica Hispellum doveva apparire una maestosa opera di fine gusto e stile sia per soluzioni architettoniche che funzionali; frangenti storici, epigrafi ritrovate, perizie archeologiche sulle murature fanno propendere per una datazione intorno alla metà del I secolo d.C.